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Antonio Mora |
E così anche stolto è chi afferma di temere la morte non perché gli arrecherà dolore sopravvenendo, ma perché arreca dolore il fatto di sapere che verrà: ciò che non fa soffrire quando sopravviene, è vano che ci addolori nell’attesa. Il più terribile dei mali dunque, la morte, non è niente per noi, dal momento che, quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando essa sopravviene noi non siamo più. Essa non ha alcun significato né per i viventi né per i morti, perché per gli uni non è niente, e, quanto agli altri, essi non sono più. Ma il volgo ora fugge la morte come il più grande dei mali, ora invece 〈la cerca〉 come cessazione 〈dei mali〉 della vita.
In: "Lettera sulla Felicità (A Meneceo § 125)" di Epicuro
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